Nell’organizzare questa Edizione de “La Notte dei Briganti” ci siamo posti il quesito che oramai da molto, troppo tempo, chi fa politica attiva si sarebbe dovuto porre: in che modo declinare il concetto più nobile e che fonda il nostro vivere quotidiano, rendendolo attuale; stiamo parlando della parola RESISTENZA.
Perché in questi tempi cupi e soprattutto a certe latitudini del nostro paese, c’è disperato bisogno di riproporre una vera e propria nuova forma di resistenza. E non parliamo di mero ricordo, fine a se stesso e il più delle volte ricoperto di sterile ipocrisia. Parliamo di riproposizione, nuova e dinamica, di una classe popolare capace di contrapporsi alla brutalità del nostro tempo. Allo sdoganamento del razzismo e del nuovo e mal celato odio verso le classi popolari, noi tutti abbiamo il dovere di contrapporci, con fatti e parole.
Troppo spesso le categorie del ‘900 vengono considerate obsolete, ma è proprio rispetto a queste che dobbiamo porci i nuovi quesiti ai quali dare risposta. Perché non è assolutamente vero che non esistono più gli sfruttati e gli sfruttatori, non è assolutamente vero che non esiste una classe dominante, e sono gli stessi di cinquanta anni fa, che fondano il proprio profitto a discapito degli ultimi. I paraocchi che ci siamo imposti agli inizi dei 2000 (a Genova avevamo ragione, ma abbiamo perso) devono cadere ora. Per questo crediamo fortemente in quelle esperienze di lotta che hanno avuto la forza e soprattutto il coraggio di aggiungere alla propria pelle, il più delle volte ricoperta da lividi non solo metaforici, il vestito istituzionale. E poco importa che con camicia e cravatta non ci riconosciamo.
Allo stesso tempo bisogna rivalutare, dopo gli anni bui del berlusconismo fino alla cancellazione dell’aspetto valoriale/ideologico del M5S, il concetto di partito, magari anche questo rivalutato su nuove forme non necessariamente verticistiche, ma sicuramente come centro di aggregazione che pone in primo piano la politica. Le nuove forme di associazione devono essere vicine alle vertenze territoriali, troppo spesso strumentalizzate da chi ha creato il disastro e portare l’esempio dell’ex Ilva è fin troppo semplice.
Esistono diverse forme di resistenze visibili, per chi solo è disposto a vederle e nella Provincia jonica ve ne sono moltissime. Da qui la domanda sorge spontanea: quanto sono importanti per noi e per le future generazioni le condizioni del luogo in cui scegliamo di vivere?
Nella Provincia jonica è tanto marcata la differenza tra salute e ambiente, due concetti interconnessi ma che vengono resi distanti tra loro. Persistono realtà inquinanti che vanno dai distretti industriali (Eni, Cementir, Ilva) alle discariche che interessano i comuni di Lizzano, Grottaglie, San Marzano, Fragagnano, Manduria e Massafra. Il Registro tumori che raccoglie dati relativi a pochi anni, è già di per se allarmante. Il concetto di lavoro, salute e ambiente sono svuotati del loro reale significato, si assiste ad una spersonalizzazione del loro valore, tanto da cavalcare la rassegnazione e la logica dell’abitudine. Chiudere le scuole nel quartiere Tamburi diviene normalità, farcire le discariche di rifiuti che gli stessi abitanti non hanno scelto diviene consuetudine.
Un territorio, il nostro, martoriato e svenduto, una popolazione che è costretta a subire le vessazioni di un tipo di politica che volontariamente chiude gli occhi e ne dimostra la sua collusione. E così i movimenti civici nascono e diventano istituzione, danno voce a chi prima non ce l’aveva perché sono essi stessi gli inascoltati, e le istituzioni assieme a comitati e associazioni creano un fronte comune e costituiscono l’avamposto ad ogni tipo di scelta calata dall’alto e dai poteri forti. La resistenza di ogni giorno che si traduce in dinamismo e cambiamento.
La resistenza deve essere qualcosa di vivo, di personale, ma soprattutto bisogna esser capaci di socializzare il concetto in tutte le sue declinazioni. Essere al fianco di chi non accetta di emigrare o a chi ha deciso di tornare perché vuole RESISTERE.
La nuova resistenza quindi deve essere capace di abbracciare in maniera sinergica e dinamica tutte le sfere della società. Il compito degli attori-amministrazioni, associazioni, ma anche partiti deve essere quello di erodere, nella vita reale, gli spazi di dibattito oramai occupati dal populismo oscurantista della destra. Riappropriarsi di tematiche quali l’ambiente, il lavoro e i diritti civili deve essere il punto di partenza per un nuovo approccio sistematico.
Abbiamo il dovere di sdoganare la nostra posizione da quella che i mass media chiamano “sinistra”, un ceto politico che ha fatto politiche antipopolari indistinguibili dalla destra. Il nostro obbiettivo sarà creare un vero e granitico fronte comune di quelle realtà, il più delle volte ignorate dal grande pubblico, ma che è ancora vivo nei conflitti sociali, nella resistenza sui luoghi di lavoro, nelle lotte, nei movimenti contro il razzismo, per la democrazia, i beni comuni, la giustizia sociale, la solidarietà e la pace.
L’attuale individualismo indotto dalle nuove non ideologie, nascosto e nutrito dal “politicamente non schierato” è il carburante che oggi polverizza la consapevolezza dell’essere geneticamente uguali e universalmente detentori dei medesimi diritti che tutelano l’essere umano in quanto tale. Non esiste altro individualismo se non quello che ci porti singolarmente all’accrescimento del senso di azione e resistenza con la responsabilità personale di impegnarsi giorno per giorno nella difesa dei principi fondamentali che tutelano e garantiscono una società equa.
Queste potrebbero sembrare agli occhi del commentatore, oramai fiaccato da anni di berlusconismo e di feroce destra, come parole vuote e per alcuni addirittura vetuste.
Noi invece siamo consapevoli che una rinascita di un reale fronte popolare debba ricercarsi in questi capisaldi che per troppo tempo sono stati appannaggio di chi gli ha sfruttati per soli fini elettorali. Bisogna avere il coraggio di fare una autentica autocritica rispetto alle continue polverizzazioni dettate da una mal celata supponenza e ripartire da un civismo che sia capace di coagulare, che sia moderno e aperto.
In definitiva abbiamo necessità di riappropriarci di ciò che negli anni ci è stato sistematicamente sottratto. Il nostro spazio vitale sono le piazze e le periferie, ma anche i partiti e i sindacati. Essere uniti nelle oggettive differenze. Essere compatti. Essere resistenza.
Sud in Movimento